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I TRE PRINCIPI DEL FUNZIONAMENTO PSÌCHICO


... E LE LORO IMPLICAZIONI NELLA TEORIA NEUFISIOLÒGICA
DEGLI STATI DI COSCIENZA

[Este artigo foi escrito a pedido de um psicólogo italiano, que, após ter assistido a uma de minhas palestras sobre a matéria, solicitou que a redigisse, para publicação em seu país de origem.  Escrevi - dou minhas cacetadas em italiano, mas não garanto a qualidade, que deveria ser revisada por ele - passei-lhe o artigo e nunca mais consegui contactá-lo.   Quem sabe este meu artigo já tem boa aceitação na Itália?  E quem sabe publicado sob o nome de outro autor?  Ah, esses italianos...]

No ho la possibilità, in questo breve spazio, di esporre l'evoluzione stòrica e i fondamenti empirichi dei punti di vista che costituiscono l'essenza di questo lavoro.  Mi limiterò, pertanto, a descriverli.
Difendo basicamente la posizione che, nelle considerazioni teòriche per la soluzione del problema che chiede se un determinato contenuto dell’esperienza sarà o no coscientemente rappresentato, sono fondamentali tre principi, uno quantitativo e due qualitativi. 
Il princìpio cuantitativo mi si presenta di natura primordialmente reticolare.  Esige che tutta l’esperienza capace di provocare una cuantità di attività reticolare al di sopra di un livello “x” (ipotètico) riceva una rappresentazione nella coscienza.  Questo tipo di esperienza, la chiamerò, d’ora in poi, esperienza “rilevante”.  Questo princìpio implica, per esempio, che, diversamente da come suggere parte de la motivologia psicanalìtica d’ispirazione freudiana, lo “spiacèvole”, quando supera un determinato livello di “rilevanza”, ha tanta ragione di rappresentarsi – forse anche più – nella coscienza quanto una esperienza ugualmente rilevante di piacere.  Questo princìpio ci permette, per esempio, di comprendere fatti come gl’ìncubi delle neurosi traumàtiche senza dover ricorrere ad ipòtesi cosi poco convincenti come l’esitenza di una Pulsione di Morte.
I rimanenti principi, ambedue qualitativi, sono, l’uno, di natura lìmbica, l’altro, di natura corticale.
Il primo, lìmbico, corrisponde, con riformulazioni che non posso fare qui, al princìpio freudiano che cerca d’impedire la rappresentazione dello spiacèvole nella coscienza, mentre indurrebbe il piacèvole a rappresentarvisi.  Se consideriamo, portanto, insieme a quest’ultimo princìpio, quello prima citato, di natura reticolare, troviamo, tratandosi di una esperienza simultaneamente rilevante e spiacèvole, un conflito lìmbico-reticolare, in cui il sistema reticolare esigerebbe una rappresentazione nella coscienza la cui concretizzazione il sistema lìmbico cercherà di bloccare. 
Il secondo princìpio qualitativo, che immagino corticale, tenterebbe di impedire la rappresentazione cosciente degli elementi considerati irrazionali (ciò che caratterizerebbe un elemento come razionale o irrazionale, naturalmente, è oggetto di una discussione che meriterebbe un su proprio spazio, qui inesistente).  Così, già operando concettualmente con in tre principi, potremo immaginare (per illustrazione) un’esperienza rilevante, piacèvole, e irrazionale:  in questo caso, i principi lìmbico e reticolare lotterebbero per una rappresentazione nella coscienza, mentre il princìpio corticale tenterebbe d’impedirla. 
La proposta che ho appena enunciato può essere così sintetizzata:

1.       Princìpio qualitativo:  della rilevanza-irrilevanza (reticolare);
2.       Principi qualitativi:
2.1.  del  piacere-dispiacere (lìmbico);
2.2.  della razionalità-irrazionalità ( corticale).

Ritengo che un determinato contenuto dell’esperienza èssere ò no rappresentato a livello cosciente è il risultato della “trialèttica” di questi principi, la cui varietà di possibilità conflittuale puo èssere dedotta da un semplice esercizio di anàlisi combinatòria fra i poli dei continui “rilevante-irrilevante”, “ piacèvole-spiacèvole” e “razionale-irrazionale”.
Negli ambienti psicoanalitici, a cui sono principalmente legato, ho verificato che le considerazioni teòriche (con le loro evidenti conseguenze nella pràtica clìnica) circa l’entrata – o no – di un determinato elemento nella coscienza sono prima di tutto di natura “lìmbica” con insufficiente valorizzazione degli elementi reticolari e corticali.  Questo equivale, a mio parere, ad una “isterizzazione” della teoria psicanalìtica della coscienza, giacchè nell’isteria la forza dell’elemento lìmbico è clinicamente molto più evidente della forza degli altre due.
Per illustrare le posizioni teòriche qui proposte, cercherò di capire, appoggiato nei principi succitati, i quadri dell’isteria e della neurosi ossessivo-compulsiva.  
Isteria:  eminentemente un conflitto lìmbico-reticolare, cioè, il princìpio del piacere si oppone a quello della rilevanza, cercando d’impedire la rappresentazione nella coscienza di ciò che è contemporaneamente rilevante e spiacèvole.  Coerentemente, fra i sìntomi di “ritorno del represso”  predòmina il dispiacere. 
Neurosi ossessivo-compulsiva:  eminentemente un confitto cortico-reticolare (inteso – anzi frainteso – dalla psicoanalisi clàssica sotto il modello “isterico” del conflitto lìmbico-reticolare), dove il princìpio della razionalità si oppone a quello della rilevanza, tentando d’impedire la rappresentazione nella coscienza di ciò che è allo stesso tempo rilevante e irrazionale.    Coerentemente , fra i sìntomi di “ritorno del represso” predòmina l‘irrazionalità dellle idee ossessive e delle compulsioni.
In questa teoria, i tre principi hanno orìgine autònoma, essendo stati darwinianamente selezionati come favorevolli alla sopravvivenza e nessuno di essi deriva da qualque dei due altri.

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